oro di recuperoNegli ultimi anni l’evoluzione tecnologica è stata tale da portare nelle case di ciascuno di noi almeno un congegno elettronico.

Smarphones, pc, tablet sono tra i prodotti più venduti e nonostante la crisi economica abbia colpito ogni settore dell’economia, quello dei devices per uso personale sembra non conoscere arretramento. 

Ogni giorno nuovi modelli, ogni anno migliaia di acquisti e, corrispondentemente, migliaia di rifiuti elettronici: i vecchi oggetti, ormai inutilizzati, vengono in genere abbandonati nelle discariche senza particolari preoccupazioni.

L’Unione Europea ha imposto già da tempo agli Stati membri, la gestione separata e il recupero della maggior parte dei componenti elettronici allo scopo di minimizzarne l’impatto ambientale e di assicurare un proficuo reimpiego dei materiali.

Nulla di nuovo, viene da pensare: in molte zone d’Italia la raccolta differenziata è ormai una realtà perfettamente funzionante e accettata di buon grado dalla popolazione e si lavora alacremente per estendere questa buona pratica a tutta la penisola.

Nel caso dei componenti elettronici però, l’esigenza di procedere ad un recupero potrebbe nascondere prospettive ulteriori e molto interessanti.

Pochi sanno infatti che nella maggior parte degli oggetti che usiamo quotidianamente, pc e telefonini innanzitutto, si nasconde una fonte di ricchezza vera e propria: l’oro.

Proprio quel biondo metallo che guida i mercati al rialzo, che interessa investitori di mezzo mondo e per il cui possesso si sono combattute guerre e strette alleanze durante tutta la storia dell’uomo.

Sembra incredibile a dirsi, ma basta una semplice verifica per rendersene conto: la scheda madre del pc contiene circa 16 g di oro, localizzati principalmente nei connettori. 

Se si pensa alla quantità di personal computer venduti solo nel nostro Paese, la convenienza di un recupero appare evidente! 

Con riferimento agli smartphones poi, nei quali l’oro presente è immediatamente visibile anche a occhio nudo, semplicemente rimuovendo la batteria, il rapporto tra le dimensioni ridotte dell’oggetto e la quantità di metallo prezioso presente, giustifica senza dubbio il tentativo di definire procedure atte al recupero.

Non ci vuole molto a capire quale fortuna potrebbe rappresentare per ciascuno di noi: già oggi la possibilità di vendere i propri gioielli usati permette a molti di affrontare spese improvvise o di concedersi qualche lusso extra senza incidere sul bilancio familiare.

Questa possibilità sarebbe incrementata se si potesse recuperare oro puro da rivendere ai compro oro da quel vecchio telefono che non usiamo più o dal pc ormai sostituito da un nuovo modello.

Non si tratta di pura utopia, non più. 

Sono ormai molti i Paesi impegnati nella ricerca: tra i più attivi vi sono Germania, Canada, Francia, nonché la Cina, Paese verso il quale sono dirottati la maggior parte dei rifiuti elettronici prodotti nel pianeta, che troverebbe quindi economicamente vantaggioso un loro recupero.

Lo scoglio più alto da superare sembra costituito da un lato dall’eccessiva onerosità della procedura, dall’altro dalla necessità di utilizzare prodotti chimici, potenzialmente molto tossici per uomo e ambiente, al fine di separare l’oro dagli altri componenti.

Lo scopo della ricerca è quindi quello di mettere a punto un sistema di estrazione che unisca in un sol colpo economicità e rispetto per l’ambiente e che risulti davvero alternativo alla attuale tecnica estrattiva che, come noto, produce notevoli danni al pianeta, a fronte di una minima quantità di metallo prezioso recuperata (in media, sono sufficienti 5g di oro puro estratto a giustificare uno scavo).

Anche l’Italia ha mosso passi importanti nella giusta direzione, con il “Progetto Oro“, partito nel 2005 e sviluppato dall’Università degli Studi di Cagliari in collaborazione con la Prometea S.C. a.r.l., grazie al quale è stata testata la convenienza di estrarre, con un semplice procedimento di triturazione, quantità di oro soddisfacenti oltre che dalle schede madri, dalle schede SIM e USIM, nonché dalle cartucce di inchiostro delle stampanti laser.

Insomma, quella che fino a pochi anni fa poteva sembrare una boutade, sta diventando realtà, a tutto favore delle nostre tasche ma, soprattutto, della salvaguardia dell’ambiente.