oro fusoL’oro e l’uomo. Non si esagera poi molto se si dice che questo binomio abbia segnato, in qualche modo, tutto il corso della storia.

Dai primi manufatti ai rudimentali gioielli, fino ad arrivare agli articoli della moderna oreficeria o all’utilizzo nei particolari tecnologici, l’oro è sempre stato un metallo enormemente utilizzato dal genere umano.

Merito, senza dubbio, delle sue caratteristiche estetiche di lucentezza e di purezza, ma anche di quelle meccaniche, con una malleabilità che ne ha facilitato fin da subito la lavorazione.

Non è un caso, quindi, che riferimenti a oggetti in oro si trovino nei testi più antichi della Bibbia, così come non può che confermare questo discorso il ritrovamento di gioielli e altri manufatti del prezioso metallo ritrovati tra i resti di civiltà antiche e diverse sparse in tutto il mondo.

La grande diffusione territoriale è dovuta al fatto che l’oro, in natura, è molto più presente di quello che si potrebbe pensare.

In generale, però, la sua concentrazione è così bassa che, nella maggioranza dei casi, non giustificherebbe le spese per il lavoro di estrazione.

Basti fare un esempio: l’oro è presente anche nell’acqua del mare, ma con una percentuale che è nell’ordine di un grammo ogni 2.000 metri cubi di acqua.

Inutile dire che, in questo caso, l’investimento per organizzare un sistema estrattivo efficiente, non verrebbe mai ripagato dalla quantità di oro che si può ricavare.

Quello dell’estrazione e della successiva lavorazione, quindi, è sempre stata una delle attività fondamentali legata allo sfruttamento dell’oro.

Va detto, comunque, che questi discorsi sono relativamente recenti, nati in tempi in cui analisi chimiche e del territorio hanno potuto rendere chiaro che l’estrazione diventa conveniente nel momento in cui il giacimento da sfruttare garantisce una resa che va dai 2 a i 6 grammi di oro per tonnellata.

Prima che tutto questo fosse chiaro, era l’esperienza a concentrare i cercatori di oro in determinate zone, facendo nascere sul posto anche le relative attività legate all’estrazione e alla lavorazione del metallo nobile per eccellenza.

Forse il caso più noto è quello dell’America del Nord negli anni della cosiddetta “corsa all’oro”. All’epoca il metodo di estrazione era, per così dire, naturale, ovvero sfruttava il differente peso specifico che esiste tra l’oro e quelli che possono essere gli altri elementi presenti nell’acqua.

La classica scodella dei cercatori d’oro fu il primo rudimentale sistema di estrazione. In un secondo memento vennero creati delle specie di canali di legno all’interno dei quali veniva immessa la sabbia aurifera.

La corrente, passando, trasportava le componenti più leggere, mentre l’oro, più pesante, rimaneva bloccato alla base dei canali, dove erano state fissate delle traverse appositamente per questo.

Altri tempi sicuramente, di cui oggi non rimane traccia.

L’estrazione dell’oro moderna, infatti, avviene prevalentemente per “cianurazione”.

Questo metodo prevede la polverizzazione dei minerali e la loro messa in sospensione in una soluzione di potassio e cianuro.

Quindi, attraverso una filtrazione o una decantazione, si separa l’oro dagli altri componenti e, tramite una cementazione con alluminio o con polvere di zinco, lo si precipita allo stato metallico.

L’oro ottenuto con questo processo deve, però, essere sottoposto a una lavaggio con una soluzione di acido solforico che ne elimini le impurità.

Anche le tecniche della successiva fusione sono radicalmente cambiate dal passato ad oggi, così come quelle della lavorazione che permette di avere il “prodotto finale” derivante dall’oro.

Se si risale molto indietro nel tempo, si può arrivare addirittura al periodo neolitico quando, l’oro che si trovava allo stato naturale in pagliuzze o pepite, veniva semplicemente lavorato attraverso mezzi primitivi, così da ricavarne delle perle da usare in rudimentali collane.

Un po’ più in là nel tempo, si cominciarono a vedere le prime lavorazioni che, comunque, si limitavano a ricavare delle lamine utilizzando precisi colpi di martello su un incudine.

La differenza decisiva, però, la fece la fusione, che rese possibile dare forma a oggetti più massicci.

Il procedimento, però, non era certo semplice, visto che il punto di fusione dell’oro è di 1.064 gradi centigradi.

Per raggiungere questa temperatura erano utilizzati dei grossi forni che, però, non erano certo il massimo in termini di sicurezza.

Oggi i forni utilizzati per la fusione dell’oro sfruttano, di solito, l’azione combinata di acetilene e ossigeno, raggiungendo temperature elevatissime che trasformano l’oro allo stato liquido.

A questo punto, il materiale, attraverso la caratteristica colata, può essere messo all’interno degli stampi appositamente preparati.

Per dare la forma e la lavorazione che si desidera, spesso viene usato il metodo “a cera persa“.

Questo consiste nel sagomare lo stampo utilizzando della cera che, a contatto con l’oro liquido bollente si scioglie istantaneamente, permettendo all’oro di prendere la forma desiderata.

È questo, per esempio, il metodo con cui ancora oggi vengono forgiati i lingotti d’oro.

Anche per i gettoni d’oro può essere utilizzato il medesimo procedimento, nonostante si preferisca ricorrere all’uso di presse idrauliche appositamente progettate.

È sempre durante il procedimento della fusione che l’oro viene separato da altri metalli ai quali si può trovare legato.

Allo stesso modo, è in questa fase che, con un procedimento inverso, si può unire l’oro ad altri metalli che ne favoriscano la lavorazione finale e la stabilizzazione.

È questo, per esempio, il caso dell’oro destinato all’uso in gioielleria, ma anche quello utilizzato per la costruzione di componenti elettroniche che sfruttano le caratteristiche di conducibilità del metallo più prezioso che ci sia.